Immaginazione non significa menzogna

Ogni tanto ripenso alle domande che i bambini mi fanno durante i classici incontri con l'autrice. Anche se negli ultimi tempi sono quasi esclusivamente online, loro sono capaci di tempestarti di osservazioni e quesiti fino all'ultimo istante.

"Lucia, perché scrivi proprio libri per bambini?"

Già. Perché?

"Voi bambini siete più interessanti, gli adulti spesso sono noiosi."

A questa risposta ho notato facce sbalordite: alcuni increduli, la maggior parte d'accordo con me. Probabilmente i secondi avranno pensato a tutte le volte che un adulto si è rifiutato di giocare con loro perché impegnato in qualcosa di molto più importante e significativo.

In effetti lo penso davvero, dev'essere questo il motivo per cui da più di vent'anni scrivo e racconto storie a bambine e bambini, e da sempre sono affascinata dall'adolescenza e da tutto quello che le ruota attorno.

Persone naturalmente predisposte alla meraviglia, continuamente in crescita, facili al cambiamento e all'entusiasmo, lontani dalla rigidità degli adulti, liberi pensatori.

Forse generalizzo, di certo non sono tutti uguali i piccoli, come non lo sono i grandi, però c'è davvero qualcosa che li distingue, qualcosa che me li mostra come interlocutori perfetti per il mio lavoro, un lavoro totalmente incentrato sul potere dell'immaginazione.

"I bambini stanno bene, per loro ogni giorno è differente" recita una canzone di Ivano Fossati, ed è così: ogni giorno è veramente nuovo per loro, possiamo dire la stessa cosa per noi?

"Immaginazione non significa menzogna" è la frase con cui si apre uno dei miei libri del cuore, Signori bambini di Daniel Pennac, e come non notare la differenza di approccio dei piccoli a tutte le questioni legate alla fantasia? Per i bambini è una necessità, per gli adulti un accessorio.

Li ho osservati per tanto tempo e con molta attenzione durante e dopo laboratori e spettacoli, sono spettatori speciali, capaci di entrare immediatamente nella finzione teatrale e rimanerci per tutto il tempo necessario, che è sempre più lungo di quello che possiamo percepire noi.

Per esempio, quando un animatore muove un pupazzo a vista, sparisce completamente agli occhi dei bambini, e se esce dalla stanza per poi tornare da loro, senza pupazzo, i piccoli gli raccontano per filo e per segno cosa è successo mentre lui non c'era (perché c'era solo il pupazzo, ovvio). Se dopo uno spettacolo gli attori tornano dal pubblico senza abiti di scena, i bambini fingono di non riconoscerli o chiedono conferme scherzose "eravate voi, vero?".

Tra i tanti episodi che ho vissuto ce ne sono due che mi si sono inchiodati nella memoria, perché li trovo straordinari, e mi hanno insegnato moltissimo. Spesso è così: più i bambini sono piccoli più impari.

Un bambino di 4 anni durante un gioco di finzione in cui l'attore interpretava un lupo cattivo ha avuto una grande paura, ma il desiderio di non abbandonare il gioco è stato più forte, allora ne è uscito solo per un istante per pronunciare il nome dell'attore e aggiungere "mi stai facendo paura". Tutto poi è proseguito all'interno del gioco teatrale, con urla e divertimento, solo con un accorgimento sul tono di voce del lupo, perché era doveroso. Fortunatamente il lupo non ero io perché la cosa mi ha incantato e mi sarei distratta troppo.

Una bambina di 2 anni che mi conosceva bene in un altro contesto mi ha vista in uno spettacolo e alla fine è venuta a salutarmi mentre smontavo la scenografia. Mi ha vista quindi senza abiti di scena e mi ha chiesto dove fosse "l'altra Lucia". Non ho potuto fare a meno di strabuzzare gli occhi e sorridere a sua mamma. La bambina mi aveva addirittura sdoppiata: la Lucia che conosco e l'altra, il personaggio. Non è meraviglioso?

Non è meravigliosa questa capacità di far coesistere realtà e finzione?

Di abbracciare con affetto un pupazzo perché lo consideri vero e poi di disegnarlo con il braccio dell'animatore che lo muove? Non so voi, ma io impazzisco.