Lettere dal fronte

In questi giorni mi è tornato in mente un laboratorio teatrale di diversi anni fa, fatto con una classe quinta della scuola primaria.

Abbiamo messo in scena una storia ispirata alla "Tregua di Natale" del 1914, durante la prima guerra mondiale. Quel momento sospeso in cui i soldati di fazioni diverse hanno deciso in maniera totalmente spontanea di fermare i combattimenti per qualche giorno, in occasione del Natale, appunto.

Ricordo che a bambini e bambine l'evento risultò eccezionale, come in effetti fu davvero, e ne rimasero molto affascinati. Ma per raccontare la tregua bisognava anche raccontare la guerra, o per lo meno rendere comprensibile lo schifo che è.

Allora abbiamo (uso il plurale perché era un laboratorio di Millemagichestorie) dedicato un paio di lezioni alle "lettere dal fronte". Quindi abbiamo allestito uno spazio per l'ascolto, da parte degli alunni, di lettere reali scritte dai soldati in guerra. E poi, dopo una suggestione così potente e coinvolgente, i bambini hanno scritto le loro lettere, immaginando di essere quei soldati, o quelle famiglie in attesa di notizie.

Lettere che poi sono state inserite nel copione dello spettacolo. Seguendo la nostra tenace convinzione che la storia da mettere in scena vada sempre scritta su misura di ogni gruppo con cui si lavora, perché bambini e ragazzi non sono tutti uguali. Infatti io una quinta così non l'ho più trovata.

Eccone alcune. Scritte all'età di dieci anni. Lo sottolineo.

Cara moglie, sono dovuto restare in una grande trincea per tre anni, credimi non è una cosa bella. Ieri mi sono opposto al generale: quando lui ha detto “all'attacco” non sono partito con gli altri. Sono stato condannato a morte. Con lacrime ti saluto.

Caro Luca, figlio mio, spero che tu stia bene e che tu segua sempre i miei consigli di madre, e spero anche di vederti presto, perché tu sei l'unica speranza per me di vivere felice. Mi auguro che tu possa ricevere questa lettera e spero che tu sappia che io ti amo più del mondo.

Cara famiglia, sono in mezzo alla guerra, sto scrivendo dal mio letto: un buco nella terra. La guerra sta durando più del previsto, inverni sempre più lunghi e freddi. C'è sempre l'ansia di essere uccisi e la speranza, poi, di tornare a casa sani e salvi. Ormai mi sono arreso, non so se sopravviverò. E i giorni senza la mia famiglia sono sempre più cupi.

Cara madre, la guerra è davvero un brutto posto, succede di tutto. Nelle trincee se alzi la testa c'è sempre un cecchino pronto a spararti. Se non fai quello che dice il generale vieni fucilato da uno dei tuoi, l'ho visto succedere milioni di volte. La prima volta piangevo da mattina a sera, anche a sparare ai nemici. Il cibo è una schifezza qui. Adesso devo finire di scrivere la lettera. Ho la guerra.

Questo "ho la guerra" finale mi fa venire ancora la pelle d'oca a distanza di anni. Ricordo che dopo lo spettacolo insegnanti e genitori faticavano a credere che le lettere erano state scritte dai loro bambini. Mai sottovalutare i piccoli, anche se bisogna parlare di cose grosse che non capiamo neanche noi.